La Scala Voltata, oggi conosciuta come La “Grotta della Janara”, è una grande scala monumentale, coperta a volta, che consentiva di lasciare la terrazza superiore (la centrale tra le tre) e giungere alla terrazza inferiore, affacciata sul mare. Così Caio e quanti frequentano la sua dimora si spostano, grazie ad essa, dalla parte alta a quella bassa della villa, il balneum. Oggi tale struttura è conosciuta col nome che le è stato attribuito nel tempo, “La Grotta della Janara”.

Essa trae il proprio nome dalla credenza delle “Janare”, termine con cui nell’Italia centromeridionale, in particolare nell’area campana e, nello specifico, beneventana, vengono indicate le streghe. Il termine “grotta” nasce da un’errata lettura del luogo, i cui gradini col tempo erano stati in parte ricoperti e nascosti dalla terra, motivo per cui non si aveva piena percezione dello spazio, assimilato ad un antro, una cavità che portava verso il basso, una grotta.

Il dislivello tra le due terrazze è abbastanza pronunciato, circa 20 m.

Ma chi sono le Janare? Come segnalato sopra, esse sono un corrispondente delle streghe, termine, quest’ultimo, che deriva dal latino “striga”, al plurale “strigae”, con il quale veniva indicato un uccello notturno che si nutriva di sangue e carne umana, in grado di causare la morte col contatto. Non è ben chiaro se sia o meno l’esito di una metamorfosi di donne anziane. Nel passaggio medievale a “strega” restano poteri magici e capacità di volare, così come il legame con la notte, ma muta l’aspetto, pienamente umano. La Janara di giorno ha l’aspetto di una donna comune; di notte, invece, grazie anche a potenti unguenti magici, muta forma, è in grado di volare, si introduce nelle abitazioni dalla porta (in latino “ianua”) e provoca malformazioni e malattie ai bambini. Per proteggersi dal suo malefico potere veniva posizionata una scopa dietro la porta, poiché la Janara, per un’antica condanna, era costretta a contare le setole della scopa prima di oltrepassare la soglia, azione che non avrebbe mai concluso prima dell’alba, quando era costretta a tornare da dove era venuta.

Antonio De Meo

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