
Ubicate tra i comuni di Esperia e Pontecorvo, nella bassa Ciociaria, a metà strada tra Roma e Napoli, le cascate della Mola della Terra, sono la testimonianza ancora esistente di un’oasi di paradiso, in cui la mente ed il corpo possono rifugiarsi in una dimensione naturale e sensoriale, ormai perduta da tempo.
Formate da un dislivello del corso del fiume Quesa (affluente del Liri) la cascata, compie, da un possente muraglione in pietra calcarea, un salto di circa 4 metri.
A guardia della sua bellezza, un antico ponte in pietra a due arcate.
La presenza di alcune residenze rurali romane e di un’antica strada, nelle immediate vicinanze, lascia supporre, che il luogo fosse conosciuto fin dall’antichità.
Nel corso del Medioevo, sulle sue sponde, sorsero, numerosi mulini ad acqua.
Originariamente, il dislivello naturale, non avendo nessuna struttura di contenimento, generava una caduta, molto più copiosa ed irregolare, con conseguente allagamento di una maggiore porzione di terreno sottostante.
La cascata, come la vediamo oggi, è frutto invece, di un intervento dell’uomo, effettuato circa 3 secoli fa, dagli eredi della famiglia Ferdinandi, i quali per alimentare il loro mulino (ancora visibile) deviarono una piccola parte del corso del fiume, costruendo l’attuale muraglione.
Quest’ultimo, infatti, aveva il compito di trattenere l’acqua attraverso la formazione di un bacino, per alimentare, attraverso un canale, gli ingranaggi delle macine, per poi rigettarsi nuovamente nel Quesa. Per gestire, la quantità e la potenza del flusso d’acqua in un flusso regolare e costante, vennero costruite a ridosso della cascata, una serie di chiuse che venivano aperte o chiuse all’occorrenza.
L’afflusso di clientela, garantì per anni, la cura e il decoro dell’intera area, ma sul finire degli anni settanta, la trasformazione socio-economica del paese, portò alla chiusura del mulino, e man mano al suo totale abbandono.
I successivi anni, videro a rischio la sua stessa esistenza, ad opera delle barbarie compiute dal Consorzio di Bonifica, e soltanto l’intervento dell’insegnante Amedeo Ferdinandi, proprietario del mulino, che si oppose con tutte le sue forze e con quelle della legge, alla demolizione di questo capolavoro, che nel progetto di bonifica, doveva diventare prosieguo dell’alveo cementificato che la precede.
Negli anni successivi, la presenza di alcuni pastori sul territorio, garantì per un certo periodo, un accettabile stato di pulizia del posto, dando la possibilità a chiunque di poter visitare ancora la cascata.
La scomparsa di questa categoria di persone, unita alla mancanza di una coscienza ecologica dei singoli cittadini e delle varie amministrazioni, ha segnato irrimediabilmente il tramonto e il declino dell’intera area.
Cosi, per più di 20 anni il posto è rimasto nel più totale abbandono, invaso da rovi, arbusti, alberi caduti e quant’altro..
Avvilito, arrabbiato e amareggiato, da tanto squallore e disinteresse collettivo, e non trovando aiuto e collaborazione da parte di nessuno, ho deciso di fare io quello che da anni, nessuno aveva più fatto.
Giorno dopo giorno, ho iniziato a ripulire, a tagliare, ad estirpare e a bonificare l’intera area da rovi, arbusti e da tanta immondizia.
Cosi, ho trascorso li, tutta l’estate del 2021, ripulendo da cima a fondo questo territorio, con lo stesso amore, con il quale un genitore si dedica al proprio figlio.
Ora il posto ha riacquistato, finalmente, quell’onore e quel decoro di pulizia, come lo ricordavo da bambino.
Un grazie particolare, va alla persona di Yuna, senza il cui aiuto, non sarei mai riuscito a portare a termine, questa mia personale impresa.
Giosuè